Lo specchio di Cassandra




 




La leggenda narra che il Dio Apollo era innamorato di Cassandra, figlia di Priamo ed Ecuba. Egli aveva promesso d'insegnarle a indovinare il futuro, se ella avesse acconsentito a concedersi a lui. Cassandra accettò lo scambio, e ricevette le lezioni del dio; ma, una volta istruita, si sottrasse a lui. Allora Apollo le sputò in bocca, ritirandole non il dono della profezia, ma quello della persuasione. Pierre Grimal Enciclopedia dei miti - Ed. Garzanti






'Maestro, posso chiedervi un'ultima lezione?'
'Signore... io posso tentare... una prima lezione...
...voglio parlare...
la musica esiste solo per parlare di ciò di cui la parola non può parlare... in tal senso essa non è del tutto umana...'

Chi non ricorda queste parole così consapevoli e serene, pronunciate nelle scene finali del celebre film 'Tutte le mattine del Mondo', quando il vecchio Sieur de Sainte-Colombe fa intuire, ad un volonteroso Marin Marais che incomincia a capire, 'cos'è la musica'!
A mio avviso in questo dialogo v'è un passaggio estremamente importante: quando viene affermato che la musica 'non è del tutto umana'.
Qui si afferma che nella musica, in quell'aria che vibra, v'è una quiddità, un qualcosa che non può essere percepito dalla sola razionalità, ma che sconfina nel sovrarazionale, in ambito, cioè, ove la mente (la mens, la mensura), non può più arrivare.
Potremmo dire che la musica ha, quindi, solo una relativa attinenza con 'le note' di cui si compone... e che, forse, la musica, è più... un vapore, un respiro, un anelito che esala da quelle note. Ne è legata, vive nelle note, ma trascolora e si dilata per assumere valenze che non sono connesse unicamente alla matericità di quelle vibrazioni...
E, qui, percepiamo immediatamente che da queste considerazioni prorompono semplicissime domande che però mettono in crisi tutte le nostre certezze in fatto di riproduzione: se la musica è questa quiddità assolutamente 'non certificabile scientificamente', quando profondiamo mezzi ed energie per riprodurla, dove è concentrata la nostra attenzione? Cosa ispira le nostre scelte? Perchè percorriamo una strada piuttosto che un'altra e cosa stiamo attenti a non perdere lungo il cammino? Cosa ha più e cosa ha meno importanza nell'obbligatoria conciliazione che deve essere ricercata per coniugare la musica di prima con la musica di seconda generazione? Quando un impianto ci soddisfa, ci fa cioè ripieni (satis-facio) e appagati (e tutti abbiamo avuto nella nostra esperienza qualche ascolto siffatto...) cosa ha messo in luce quella catena di apparecchiature, cosa sta uscendo da quella congerie di valvole e transistors? Cosa succede durante quegli ascolti così 'veri' ed emozionanti? Perchè, in casi come questi, apprezziamo di più quella voce o quella orchestra o quegli strumenti ed, anzi, percepiamo sfumature e significati che prima non avevamo colto?
Sono tutte domande senza risposta sicura, ma sono altresì domande che ogni serio costruttore dovrebbe sempre porsi e, invece, io vedo che ben pochi hanno l'essenza della musica come costante riferimento.
Personalmente posso dire che so perfettamente 'quando' un impianto funziona, ma per 'farlo funzionare' non sono mai riuscito a reperire nessuna ricetta, non sono mai riuscito a trovare formulazioni affidabili seguendo le quali venga garantito il risultato.
Lavoro, lavoro, tanto lavoro, tanti ascolti e tante prove finchè scatta qualcosa, finchè 'l'armonia' scaturisce, fintantochè l'emozione è chiara, ma nessuna certezza.

Nessuna certezza che compiendo le stesse operazioni, assemblando gli stessi componenti in un altra situazione, il risultato sarà lo stesso.
Forse il fascino, la malia e la bellezza del nostro lavoro sta proprio qui: nella fiducia che il risultato si può sicuramente ottenere, perchè molte volte lo abbiamo assaporato, ma altresì nella consapevolezza che la strada per perseguirlo è ogni volta diversa.
Bisogna dunque, a mio avviso, nel nostro alchemico gioco di far ri-vivere nella ri-produzione, l'ineffabile qualità della musica, avere molta umiltà.
Molta consapevole umiltà, nella convinzione che l'emozione, forte e vibrante, che il nostro impianto può suscitare, non va ascritta alla 'bellezza' dello stesso, ma alla sua capacità a 'non esserci', ad essere diafano servitore della musica, a fare la sua funzione senza intromettere l'inevitabile proprio; essere solo semplice mezzo, semplice strumento che si sottomette a qualcosa di più importante delle pur ferree leggi che lo hanno informato.
Non sono le caratteristiche di un impianto a far sgorgare la musica, ma, al contrario, la musica fiorirà quando l'inevitabile forte personalità della nostra 'bella catena' sarà oblata, resa permeabile allo 'spirito' stesso della musica.
Esattamente quello che dovrebbe fare ogni politico degno di questo nome... pura funzione che sa spersonalizzarsi per seguire il 'bene comune' (la volontà del 'ben comun' che per più di mille anni ha retto la mia sempre adorata 'Serenissima'), per fare gli interessi non del proprio schieramento, del proprio partito, ma della collettività che ha l'onore di servire....
E invece, lì come qui, non v'è questa 'remissione', questo esserci per scopi più grandi, questo progettare per la musica e non per i dati tecnici di targa; v'è, invece, 'l'appropriazione indebita' della macchina sulla sua funzione...
Io penso spesso alle frasi che per anni hanno rimbecillito i nostri poveri appassionati, (come: 'l'amplificatore ideale è un cavo che amplifichi' - io direi piuttosto che 'il cavo ideale è un amplificatore lungo qualche metro' dato che si conosce un pochino ciò che succede in un amplificatore, mentre si conosce pochissimo ciò che succede in un cavo...) e capisco che la spocchiosa presunzione di dominare i fenomeni elettroacustici ha piano, piano fatto perdere la necessaria modestia che invece dovrebbe sempre essere fedele compagna di ogni umana investigazione.
Modestia senza la quale si perdono di vista gli 'scopi ultimi', la 'ragione per cui' e si finisce per costruire macchine stupende che però nulla hanno a che vedere con la ragione per la quale dovrebbero essere progettate.
E allora succede quello che è così ben sintetizzato, in ambiti diversi, dalla famosa frase:
'L'operazione è perfettamente riuscita ed il paziente è morto'.

Lorenzo Zen